Cass. Sez. Un. Sentenza n. 28709/2020 – Violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale eccepibile in sede di impugnazione della cartella di pagamento da parte del socio illimitatamente responsabile – di Claudia Cosmo

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 28709 del 20/10/2020, depositata il 16/12/2020.

Con la Sentenza n. 28709/2020, depositata il 16.12.2020, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto l’annosa questione della impugnabilità della cartella di pagamento notificata al socio illimitatamente responsabile, derivante da un avviso di accertamento notificato alla società ma dalla stessa non impugnato, riconoscendogli la facoltà di eccepire la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale, secondo i criteri di ripartizione dell’onere probatorio tra le parti, individuati nel pronunciamento stesso.

Si segnala la dirimente Sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n.28709/2020, pronunciata il 20.10.2020 e depositata il 16.12.2020 che ha finalmente risolto il contrasto giurisprudenziale di legittimità, sulla questione dell’impugnabilità della cartella di pagamento notificata al socio illimitatamente responsabile in relazione a debiti della società, a causa della mancata preventiva escussione del patrimonio sociale.

In tale pronunciamento le SS.UU. identificano la portata soggettiva del titolo esecutivo nella riscossione e nell’esecuzione a mezzo ruolo delle imposte, in relazione ai coobbligati in via sussidiaria, e delimitano i margini entro i quali costoro possono esercitare il proprio diritto di difesa, con la specificazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio tra l’obbligato in via sussidiaria e l’Amministrazione finanziaria.

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento per Iva ed Irap avvenuta presso la sede di una s.n.c. (nel frattempo trasformatasi) a mani dell’ultimo legale rappresentante, non impugnata, a cui ha fatto seguito la notifica, all’ex socio della stessa, della cartella di pagamento, oggetto del giudizio, opposta da quest’ultimo, che ha contestato, tra i vari motivi di ricorso, la violazione del principio di sussidiarietà, a causa dell’inosservanza del beneficium excussionis che gli spettava.

Lamentava, il ricorrente, in sede di legittimità, tra le altre censure, la violazione e falsa applicazione dell’art.2304 c.c. (“I creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”) laddove la Commissione Tributaria Regionale aveva escluso che si potesse far valere la violazione del beneficium excussionis con l’impugnazione della cartella di pagamento.

La sezione tributaria, ravvisato un contrasto giurisprudenziale sul punto, ha rimesso gli atti alla valutazione del Primo Presidente.

Ed infatti, secondo un orientamento maggioritario di legittimità, il beneficio di preventiva escussione opera esclusivamente in sede esecutiva. E poiché la cartella di pagamento non è un atto esecutivo, ma si limita a preannunciare l’azione esecutiva, rispondendo per quest’aspetto a funzione di precetto, è in questa fase inapplicabile il beneficium excussionis, l’inosservanza del quale non concreta alcuna violazione deducibile con l’impugnazione della cartella (tra le tante, Cass.n.15966/2016; n.26549/2016; n.13017/2018; n.1996/2019).

Per l’orientamento minoritario, invece, in caso di ricorso al procedimento di riscossione di tributi mediante ruolo, l’obbligato in via sussidiaria può far legittimamente valere il beneficium excussionis con l’impugnazione della cartella di pagamento. Solo dopo l’inutile tentativo di escussione del patrimonio sociale, infatti, può essere fatta valere la pretesa esecutiva nei confronti del socio (Cass.n.7000/2003; n.10584/2007).

La sezione tributaria, nell’ordinanza interlocutoria, ha ritenuto di porsi in linea con l’orientamento maggioritario, sulla base di alcune, specifiche, considerazioni, in primo luogo escludendo che il beneficium excussionis possa trovare ingresso nella fase antecedente all’inizio dell’esecuzione forzata (salvo nel caso in cui sia stata notificata l’intimazione ad adempiere prevista dall’art.50 del DPR 602/73), atteso che il socio ben potrebbe proporre opposizione all’esecuzione davanti al giudice ordinario ex art.615 c.p.c. contro il pignoramento.

L’adesione all’orientamento maggioritario da parte della sezione tributaria è derivata altresì dal paventato pregiudizio per il fisco che, non potendo notificare la cartella di pagamento al coobbligato sussidiario prima della conclusione dell’escussione dei beni della società, incorrerebbe nella decadenza dei termini per la notifica della cartella stessa, con la conseguenza che, laddove l’escussione risulti totalmente o parzialmente infruttuosa, si troverebbe nell’impossibilità di recuperare il proprio credito nei confronti del coobbligato sussidiario.

Ebbene, le SS.UU., nel pronunciamento de quo, dirimono definitivamente il contrasto giurisprudenziale suddetto, riconoscendo, nel caso di iscrizione a ruolo avvenuta in base ad un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non opposto, la possibilità, per il socio illimitatamente responsabile, di impugnare la cartella notificatagli, eccependo la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale.

Più specificatamente, come rileva la Suprema Corte, il socio può impugnare la cartella di pagamento sollevando una serie di (eventuali) contestazioni, come, ad esempio, l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della società, oppure l’insistenza originaria o sopravvenuta della pretesa tributaria (per inesistenza dei fatti costitutivi o per esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi), o ancora, egli potrà contestare il fondamento della propria responsabilità, o anche la propria qualità di socio, sottraendosi all’efficacia esecutiva del titolo “sociale”, e infine, potrà anche contestare l’improcedibilità dell’azione esecutiva nei propri confronti perché l’ente creditore non si è soddisfatto prima sui beni che compongono il patrimonio sociale.

Come scrive la Suprema Corte, infatti “il beneficum excussionis presidia … il patrimonio del socio nei confronti del creditore sociale, perché subordina la garanzia generale da esso offerta a quella correlata al patrimonio della società sicché spetta al socio decidere se valersene o no”.

Le SS.UU., quindi, riconoscono tale facoltà in quanto, se così non fosse, si creerebbe un vuoto di tutela per il coobbligato sussidiario, che, come rilevato nella stessa ordinanza interlocutoria, sarebbe costretto ad aspettare il pignoramento per far valere l’improcedibilità dell’azione esecutiva, oppure sperare nella notifica dell’intimazione di pagamento (art.50 d.p.r. n.602/73) la quale è solo eventuale.

Inoltre, al fisco non è impedito di notificare al coobbligato sussidiario la cartella di pagamento prima dell’escussione dei beni dell’obbligato principale, il quale potrà far valere il beneficium excussionis al fine di impedire che inizi l’esecuzione vera e propria oppure al fine di bloccarla dopo che sia iniziata.

In buona sostanza, per le SS.UU., il socio illimitatamente responsabile è obbligato, nei confronti dell’ente creditore, per i debiti sociali in via sussidiaria “al pari della società”, anche per quelli tributari, e pure se sia receduto. Si tratta, scrive la Corte, di una responsabilità “da posizione” perché deriva dalla qualità del socio e concerne tutti i debiti della società: quella del socio (come anche del cessionario o conferitario d’azienda) “non è un’obbligazione da fatto proprio, ma è propria, e scaturisce direttamente dalla legge”.

Per rendere inoperativa tale responsabilità sussidiaria, nel rapporto società/soci, è necessaria la dimostrazione che la società ha la capacità patrimoniale di soddisfare i propri debiti, in quanto la responsabilità del socio scatta solo se il creditore non riesca a soddisfarsi, in tutto o in parte, sui beni dell’obbligato principale.

Da ciò deriva l’onere probatorio di dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di quella capacità patrimoniale, i cui criteri di ripartizione tra le parti vengono espressamente indicati nel pronunciamento dalle SS.UU., e precisamente:

  • nella società semplice (o nelle società irregolari) l’onere di provare che il creditore può agevolmente soddisfarsi sul patrimonio sociale incombe sul socio;
  • nella società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, l’onere della prova si inverte sul creditore, poiché è quest’ultimo a dover provare l’insufficienza del patrimonio sociale;
  • l’onere per il creditore di sperimentare l’azione esecutiva sul patrimonio della società viene meno, tuttavia, qualora risulti aliunde dimostrata, in modo certo, l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito (ad es. in caso in cui la società sia cancellata).

Onde per cui:

  • qualora l’A.f. dimostri la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto;
  • qualora il coobbligato beneficiato provi la sufficienza del patrimonio della società, il ricorso andrà accolto;
  • se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti;
  • se le parti non saranno in grado di fornire prova, l’applicazione dell’art.2697 c.c. comporterà l’accoglimento o il rigetto del ricorso, a seconda del soggetto su cui è ricaduto l’onere probatorio stesso.

L’accoglimento, totale o parziale, del ricorso non potrà che condurre al corrispondente annullamento della cartella nei confronti del socio, con esclusione in radice del problema della decadenza.

Il coobbligato beneficiato, in ogni caso, non decade dal diritto al beneficio, che, se non esperito impugnando la cartella di pagamento, potrà essere fatto valere contro l’eventuale intimazione successiva e, in mancanza, contro il pignoramento dinanzi al giudice dell’esecuzione.

In definitiva, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l’amministrazione creditrice a dover provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata). Ne consegue che, se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario”.

Commento di Claudia Cosmo

Scarica da qui: Cass., Sez. Un., Sent. n. 28709/2020.